venerdì, luglio 17, 2009

Sempre contro il fascismo!

II



Sandro Pertini

1925

Il procedimento contro De Bono(1) e quello per l’assassinio di Giacomo Matteotti
Sono ormai tre mesi che i giornali fascisti o le agenzie che servono il governo fanno circolare, ogni tanto, la voce dell'imminente chiusura del procedimento iniziato all'Alta Corte contro il gen. De Bono, il quale sarebbe prosciolto da ogni accusa. Negli ambienti del Senato si smentisce che la commissione di istruttoria abbia già preso le sue conclusioni e lo stesso gen. Zupelli, presidente della commissione, ha avuto occasione di dichiarare destituite di ogni fondamento le indiscrezioni dei giornali. Certo il materiale d'accusa, accumulato dal denunciante dott. Donati e dai testimoni, contro il gen. De Bono è imponente e se la giustizia fosse esercitata all'infuori delle passioni e delle preoccupazioni politiche basterebbe per dieci incriminazioni non per una sola. Nessuno vuole mettere in dubbio il galantomismo personale dei membri della commissione di istruttoria, ma è vano sperare che essi nel pronunziare il loro giudizio, sappiano non farsi influenzare dalla considerazione della situazione politica che verrebbe a determinarsi se il gen. De Bono dovesse essere incriminato. Infatti il processo contro il gen. De Bono all'Alta Corte diventerebbe, inevitabilmente, il processo contro il governo e sopra tutto il suo capo.
Ora il problema che rende scettici sulle conclusioni dell'Alta Corte è questo: " è possibile che il Senato, il quale non ha il coraggio e forse non l'avrà mai... prima che la situazione politica sia cambiata, di votare contro il governo abbia addirittura l'eroismo di chiamare lo stesso governo a scolparsi innanzi all'Alta Corte?". Sarebbe azzardato credere a questa possibilità, e perciò non vi dovranno essere né delusioni né scoramenti se la sentenza dell'Alta Corte non dovesse essere quella auspicata dal senso di giustizia degli italiani. Quanto al processo contro gli esecutori materiali dell'assassinio di Giacomo Matteotti la sua effettuazione è probabilmente in rapporto all'atteggiamento di Cesare Rossi e di Filippelli, ma più del primo. Se l'ex-immediato collaboratore di Mussolini dovesse mantenere fino al dibattito pubblico la sua posizione di accusatore è evidente che il processo non potrebbe farsi; ed allora la liquidazione giudiziaria del delitto del 10 giugno 1924 dovrebbe tentarsi per nuove vie, magari per quelle dell'amnistia.
Profanazione
Frattanto mentre si va perdendo ogni fiducia nell'azione della giustizia contro i martorizzatori di Matteotti si apprende uno sconcio episodio di profanazione della sua memoria, avvenuto alla Quartanella. E' noto che nell'angolo di bosco nel quale furono rinvenuti i miseri resti del Martire, la pietà dei compagni suoi aveva elevato a ricordo una Croce rustica, ai piedi della quale la Vedova si recava spesso a pregare e a deporre fiori. Nel giorno di venerdì santo Ella aveva anche ornato il luogo sacro al suo ricordo con due ricchi vasi di fiori e con alcuni grossi ceri. Però domenica u.s. un gruppo di militi della Legione dell'Urbe, montati su un camioncino, si recava alla Quartanella ed ivi sparava alcuni colpi di rivoltella contro la croce e la fotografia dell'Estinto. Il simulacro fu abbattuto e spezzato, i vasi infranti, i ceri e la fotografia asportati. Due carbonai, che furono testimoni dello scempio, vennero percossi con invito a non ricordarsi di quello che avevano visto. Quanto ai carabinieri, arrivarono naturalmente a cose finite. Il Governo, preoccupato dall'impressione che la notizia dell'orrenda profanazione avrebbe fatto, fece sequestrare i giornali che l'avevano riferita; e quando la Signora Velia Matteotti, informata dell'accaduto, si recò alla Quartanella trovò che la croce rustica distrutta dai militi fascisti era già stata sostituita. Anche una sdegnosa protesta del Comitato centrale delle Opposizioni non poté trovare eco sui giornali. La notizia però deve ugualmente circolare per il paese perché nulla meglio della profanazione della Quartanella potrebbe dimostrare il vero animo dei nostri avversari.
L'atteggiamento di Finzi
Molti sono rimasti sorpresi per il contenuto del discorso pronunziato dall'ex-sottosegretario agli interni Aldo Finzi a Badia Polesine il giorno commemorativo del Natale di Roma. Egli ebbe a dire che Mussolini ha sì delle colpe, ma che bisogna perdonargliele perché sono state commesse a causa del grande amore per l'Italia. Che cosa significhi questo atteggiamento di Finzi è chiaro. Egli, dopo le tremende accuse fatte contro il suo duce nel giugno dello scorso anno, si mantenne sempre in una posizione di ambiguità, asseriva che avrebbe attaccato, pubblicamente ed a fondo, quando fosse stato sicuro che i suoi colpi avrebbero demolito il bersaglio. In realtà la sua figura poteva paragonarsi a quella di uno schermitore il quale ogni tanto riuscisse a minacciare con la punta della spada il ventre di un avversario, ben deciso però a non colpirlo. Infatti Aldo Finzi, il suo avversario, voleva soltanto intimorirlo, per quali fini suoi noi non sapremmo precisare. Non è però dubbio che se la situazione di Mussolini gli fosse apparsa pericolante, Finzi allora avrebbe fatto del suo meglio per rovinarla del tutto; e con ciò egli avrebbe sperato di conquistarsi l'indulgenza dei successori. Ma siccome Mussolini dispone ancora di tutto il comando, Finzi disarma. Pare che già all'Alta Corte egli avesse introdotto due testimoni per dare notizia del "vero" testo della sua famosa lettera-testamento al fratello Gino. Il "vero" testo riferito dal Gen. Piccio, dall'On. Grandi, e dal Sen. Morello sarebbe quello di una seconda e molto attenuata versione della lettera-testamento, versione scritta quando gli mancò il coraggio di sostenere le accuse contenute nella prima.
Le accoglienze al Re a Milano... e quelle di Firenze
Freddo meteorologico e freddo morale per la visita del Re a Milano. "Le silence des peuples c'est la leçon des rois". Tanto più significativa la freddezza di quest'anno se la si confronti con il calore dello scorso anno. I fascisti ne fanno risalire la colpa alla pioggia la quale ha certo influito a diradare il pubblico, ma non basta da sola a spiegare la enorme differenza tra le accoglienze dell'anno scorso e quelle di quest'anno. Poca gente per le strade, applausi tutt'altro che frenetici, indifferenza generale e fastidio per le frequenti interruzioni della circolazione. Gli ordini dati ai fascisti furono di recarsi in massa al passaggio del Re ad applaudire, spostandosi da un punto all'altro nella previsione (rispondente infatti alla realtà) che il pubblico non sarebbe stato né troppo numeroso né eccessivamente entusiasta: in borghese e senza distintivo, per dare l'impressione di un entusiasmo non preconcetto e non partigiano; e sovra tutto senza raccogliere le eventuali e temute grida... aventiniane, evitando assolutamente incidenti e cercando, piuttosto, di soffocare tali grida con grida più forti di "Viva il Re". Ecco perché le paventate grida aventiniane vi furono ma non ebbero tuttavia la risonanza che si attendeva. Si gridò "Viva la libertà" in più punti, e soprattutto in Largo Margherita e in via Monte Napoleone, ma le grida non furono contraddette che da altre grida più forti senza ulteriori conseguenze. In via Monte Napoleone però le grida dovettero giungere anche alle orecchie del Re stesso, il quale guardò sorpreso verso chi gridava e salutò militarmente. Addirittura spettacolo imponente e senza precedenti lo spiegamento della forza pubblica e rigorosissime le precauzioni poliziesche. Alla Fiera i pochissimi biglietti di invito furono distribuiti sotto la personale responsabilità del ministro Nava. Alla Scala i biglietti di ingresso alle Gallerie (per tema di lancio di manifestini) dovevano avere il visto della Questura. Manifestini di rivendicazione della libertà ed inneggianti allo Statuto furono tuttavia distribuiti largamente, nonostante il tempo orribile, in molti rioni. Soprattutto importante, sebbene non completa per la necessità di mantenere ad ogni costo il segreto fino all'ultimo momento, e di tralasciare quindi ogni aperta preparazione preventiva, riuscì la manifestazione operaia. In molti stabilimenti, specie in quelli metallurgici e meccanici, gli operai sospesero sabato mattina 25 u.s. il lavoro per un quarto d'ora "in segno di protesta e di monito al Capo dello Stato". Vi furono dappertutto rimbrotti, multe e trattenute sui salari come rappresaglia da parte degli industriali. La ditta Marelli fece di più: proclamò la serrata sino a mercoledì 29 e licenziò una trentina di operai tra i più "sospetti" dopo aver eseguito l'immediato sgombero dello stabilimento con l'intervento dei fascisti, che bastonarono anche parecchi operai. Sette di questi furono pure arrestati e rilasciati solo martedì per l'intervento di avvocati delegati all'uopo dal Comitato delle Opposizioni di Milano. Uno fu trattenuto e denunziato all'autorità giudiziaria, non si sa ancora sotto quale imputazione.
Anche a Firenze per la visita del Re la cittadinanza ha fatto silenziosamente la sua dimostrazione per la libertà e lo Statuto. La freddezza della popolazione è stata anche più evidente che a Milano. Al passaggio del corteo reale in Piazza Vittorio ed in via Tornabuoni, nelle località cioè dove avrebbero dovuto essere più entusiastiche le manifestazioni, scarso pubblico e quasi completa assenza di applausi. In Piazza Pitti quando il Re si ritirò a Palazzo, non più di cento persone sostarono a reclamare la sua apparizione, senza ottenerla. La sala del Politeama fiorentino, nella serata di gala, era pochissimo affollata.

ACS, Ministero dell'Interno,
Casellario politico centrale,
fasc. Pertini Alessandro